Aziende, visione strategica e produttività: un triade centrale nella vita organizzativa. Affinché tali elementi si contaminino in modo sinergico occorre lavorare su processi complessi, dove gli aspetti di business siano accompagnati dal benessere organizzativo che si riesce a costruire e a mantenere. Abbiamo fatto una chiacchierata con Vittoria Ardino, Presidente della Società Italiana per lo Studio dello Stress Traumatico e Profiler di Società di Scienze Comportamentali, che propone una riflessione sul benessere organizzativo mutuando alcuni concetti da altre discipline e contaminandoli con assunti centrali della psicologia del lavoro e delle organizzazioni.
Vittoria, come sai siamo entrati nella fase pilota di un modello di Coaching integrato che possa rispondere sempre meglio alle esigenze dei Clienti, attenti a trovare nuove strategie per favorire benessere organizzativo.
Sì, grazie all’esperienza che sto facendo con SDSC ho avuto la possibilità di accedere a un osservatorio interessante che mi ha portata a riflettere su strumenti possibili mutuati dalla psicobiologia, psicologia clinica e dello sviluppo nonché dagli studi più recenti nell’ambito degli eventi stress-correlati. Mi sono resa conto in questi anni di esperienza condivisa che, più spesso di quanto immaginassi, ogni Persona ambisce ad essere un high performer ad alto Potenziale. Ma la mancanza di consapevolezza individuale e aziendale degli elementi che concorrono a determinare le soft skill, in particolare la regolazione emotiva, è una delle barriere più complicate da superare. Ho notato che vengono messi in atto meccanismi individuali di ‘’compensazione’’ che rischiano di inceppare il sistema avendo una ricaduta indiretta ed importante sulla produttività, sul potenziale dell’individuo e dunque sul benessere organizzativo.
Che cosa intendiamo per regolazione emotiva?
La regolazione emotiva – secondo la definizione di Gross – è un processo tramite cui gli individui influenzano le proprie emozioni, il momento in cui provarle e il modo in cui farne esperienza ed esprimerle. E dunque questa è una sfida di fatto per le aziende che si incamminano verso una visione strategica più moderna, quasi uno shift di paradigma perché richiede la disponibilità a riconoscere gli effetti di momenti in cui le metacapacità della Persona vengono offuscate da intervalli in cui non riescono a mantenere livelli stabili ed efficaci di regolazione emotiva e, dunque, a utilizzare appieno le proprie soft skill, quindi senza avere pieno accesso alle proprie le competenze tecniche.
Perché è così importante accogliere la sfida di introdurre pratiche organizzative e modelli di Coaching che pongano al centro la consapevolezza della regolazione emotiva?
Perché si propone un modello di Coaching e, in generale, di approccio organizzativo che mutua il concetto di regolazione emotiva dalla psicologia dello sviluppo e dalla psicologia clinica, ovviamente con i dovuti aggiustamenti. Il focus è la comprensione dei meccanismi attraverso cui le Persone rispondono alle situazioni che vivono come ‘’critiche’’ in modo inefficace e senza esserne consapevoli. Questo spesso crea dei pattern impliciti individuali – ed anche nei team di lavoro – che gradualmente erodono l’efficienza e l’efficacia, abbassando la motivazione. Inoltre, spesso tali meccanismi si cronicizzano nel tempo e gli strumenti che vengono messi in campo non sono mai del tutto efficaci per scardinare questi schemi disadattivi. La conclusione è a quel punto uno scacco al benessere organizzativo e conseguenti elevati livelli di turn over. Quando le Persone sono in quegli stati emotivi che definiamo di ‘’disregolazione’’ non è possibile mantenere una capacità di negoziazione efficace dei conflitti, dare un contributo al lavoro di squadra o di fare scelte ottimale per l’Azienda e per Sé, perché si entra in un meccanismo cognitivo rigido e si rimane in balia dei cosiddetti ‘’trigger’’, cioè di quegli attivatori ambientali che innescano risposte non adeguate. Insomma escono dalla loro finestra di tolleranza.
Che cos’è la finestra di tolleranza?
La finestra di tolleranza è un termine usato per descrivere la zona di ‘’attivazione emotiva’’ in cui la persona è in grado di funzionare in modo ottimale. Quando le Persone riescono a rimanere in tale zona sono in grado di ricevere, elaborare e integrare le informazioni che arrivano dal contesto in modo adeguato con flessibilità e focusing. Inoltre, sono in grado di ‘’fluttuare’’ emotivamente e cognitivamente operando adattamenti continui che la giornata lavorativa richiede: resistere alle pressioni, rispondere alle scadenze senza stati eccessivi di ansia, accogliere le richieste dei colleghi senza ostilità. Sono fondamenti di quello che definiamo lo stato di calma. Ma se un qualsiasi trigger di cui la Persona non è consapevole va a perturbare la regolazione emotiva e riduce la finestra di tolleranza, le azioni cessano di essere così efficaci e si creano le problematiche che le Aziende riscontrano quotidianamente. Il modello di Coaching che proponiamo ‘’allena’’ a trovare strategie che facilitino la permanenza dentro la finestra di tolleranza e, soprattutto, una maggiore consapevolezza sugli attivatori responsabili di cicli comportamentali disfunzionali per l’individuo, la squadra e l’Azienda stessa.
Potresti approfondire sul modello di coaching?
Quando un’Azienda (e dunque in prima battuta l’HR) comprende l’importanza ed il vantaggio di avere i componenti dello staff dentro la finestra di tolleranza, riuscendo così ad attivare in modo più efficace le soft skill e a mantenere un focus più adeguato sulle attività, potrebbe favorire l’adozione di questo modello di Coaching che ha, appunto, l’obiettivo di promuovere la regolazione emotiva a servizio dell’attività. Questo prevede la costruzione di un percorso personalizzato (che non ha ovviamente finalità terapeutiche) che consegna a ciascuno una possibile apertura riflessiva sul proprio bagaglio di esperienze ad ampio spettro. Nella quotidianità lavorativa, se molta energia viene canalizzata nel gestire le entrate e uscite dalla finestra di tolleranza si crea facilmente un clima di malessere a cui, spesso, non si riesce a dare un nome ma che continua a lavorare carsicamente, portando confusione e conflitto. Costruire così percorsi di consapevolezza permette di contribuire in modo più efficace alla produttività, al benessere organizzativo e anche, oserei dire, alla creazione di visione integrata e moderna dove tutti gli attori coinvolti concorrono al successo dell’Azienda.
Stai sostenendo che adottare questo modello potrebbe avere un impatto nel medio e lungo periodo su tutta l’Organizzazione?
Esattamente, perché si crea un sistema di co-regolazione in cui si innestano aree virtuose nei team che imparano a costruire finestre di tolleranza collettive (come condivisione dello spazio di tolleranza individuale) basate sulla consapevolezza degli attivatori individuali che fungono da barriere per un vero spirito di gruppo e di collaborazione. Inoltre è previsto spazio di potenziamento dell’intelligenza emotiva, vista come perno imprescindibile per il successo aziendale. Nel tempo la co-regolazione di sistema permette un processo di apprendimento che modifica la cultura aziendale e favorisce un miglioramento delle metacapacità individuali e collettive corroborando la capacità di flessibilità al cambiamento, che è sempre più rapido. In fondo è l’applicazione di un principio darwiniano: gli individui che sviluppano nel tempo maggiori capacità di adattamento all’ambiente sono coloro che poi portano avanti gli obiettivi evolutivi. Allo stesso modo integrare il concetto della finestra di tolleranza nei modelli di Coaching vuole dire modellare Aziende che sempre più creano occasioni di adattamento interno per rispondere agli aggiustamenti richiesti dall’esterno.
Con ricadute positive su quali altri aspetti?
La retention, per esempio. Dove le scelte di business si integrano meglio con le soft skill abbiamo migliore retention legata anche allo sviluppo di occasioni formative orientate a questi concetti. Si tratta di un importante cambiamento culturale che investe necessariamente anche i training plan che prefigurano nella vita aziendale dove la gap analysis delle competenze permetta un ‘’matrimonio’’ duraturo tra Persona e Azienda che costituisce anche un risparmio nel lungo periodo (ad esempio in termini di diminuzione di costi del turn over e prevenzione dello stress lavorativo). Come ho già detto, le ricadute sono visibili anche in dinamiche di gruppo, livello motivazionale, gestione del burn-out e problematiche di stress lavoro-correlate che sappiamo influire sulla performance e sui comportamenti. Infine, permette ai manager di acquisire una cornice di lettura per comprendere meglio capacità e risorse oltre alle competenze generiche del potenziale umano (inclusa la regolazione emotiva) da mettere a disposizione di costruzione e raggiungimento efficace di obiettivi aziendali.
Mi pare di capire che questi strumenti possano anche contribuire alla costruzione di scambi comunicativi più efficaci.
Certamente. La proposta di un percorso di consapevolezza collettiva facilita la comunicazione sviluppando anche capacità di lettura e controllo su azioni e messaggi ostili (basati sui trigger di cui abbiamo parlato) o su compromessi accettati senza convinzione che prima o poi comportano possibilità implicite di boicottaggio. Vengono riorientate le pratiche organizzative, appannaggio di un sistema più trasparente, adeguato, relazionale, riflessivo e soprattutto integrato in ciascun fase di interazione e ruolo aziendale. Per dirla con le parole di Alexander Den Herjier, se il fiore non sboccia, non si cerca di aggiustare il fiore e certamente non gliene fai una colpa, ma si cerca di costruire ambienti che permettano al fiore di sbocciare. Degli ambienti che, in conclusione, promuovano percorsi di resilienza lavorativa ad ampio raggio.
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